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Una calzante rappresentazione di un demone infernale, tratta da qui.

(Riassunto della puntata precedente: un po’ di numeri aggiornati, e poi di nuovo a quella volta di trent’anni fa).

All’epoca dei fatti il cosiddetto Demone Biondo era il mio capo. Uomo di piccola statura e paffutello, con un paio di baffoni biondo cenere e una chioma leonina del medesimo colore, pareva una sintesi fra il compianto Alberto Castagna e il professor Dairi di Jeeg Robot d’Acciaio. Al primo approccio lo si sarebbe ritenuto una persona divertente e alla mano; peccato che al primo approccio ne sarebbero seguiti molti altri, in cui l’impressione iniziale sarebbe virata, radicalmente, verso l’amara consapevolezza di avere a che fare with a fucking asshole.

Diffidente, presuntuoso, infido, arrogante, iracondo, autore di sfuriate interminabili nelle quali il collo gli diventava tanto paonazzo da far temere (o sperare, questione di punti di vista) che gli stesse per prendere un colpo, il nostro sfoggiava un ampio ventaglio di sfumature caratteriali e comportamentali, nessuna delle quali piacevole. Un giorno mi divertirò a raccontarti di lui in modo più approfondito, per la rubrica “i mediocri che ce l’hanno fatta”.
Ma nell’occasione può bastare così, salvo un paio di precisazioni.

Che fosse biondo lo abbiamo già detto, anzi, i colleghi anziani mi raccontavano che all’inizio era noto semplicemente come il Biondo; per la parte demoniaca tocca fare un’annotazione tecnica. Senza scendere troppo in noiosi dettagli, in azienda avevamo a che fare con macchinari pilotati da software in parte di fabbrica in parte realizzati internamente; ed esistono dei software, o per meglio dire dei singoli programmi chiamati “demoni”, che vengono innescati all’avvio di un computer o di un macchinario e che si occupano di svolgere compiti predeterminati, così come di gestire in modo autonomo una certa gamma di eventi prevedibili. Programmi di questo tipo agiscono senza l’intervento o il coinvolgimento degli utenti umani, verso i quali svolgono un servizio automatizzato che risulta loro del tutto trasparente (nel senso che gli utenti, molto spesso, nemmeno si accorgono che tali demoni siano in elaborazione o ne ignorano del tutto l’esistenza).

Poiché il Biondo si presentava come un grande esperto di informatica, tanto da avere scritto lui stesso alcuni di quei programmi a uso interno (mi è toccato l’ingrato compito di mettere mano a qualcuno di quei fulgidi esempi di codifica, preferisco non commentare), qualunque imprevisto o problema si presentasse – la telefonata di un cliente che richiedeva l’implementazione di un nuovo processo, oppure un bug saltato fuori all’improvviso da qualche parte – tempo due secondi e il Biondo era già lì, inevitabile come Thanos, ad abbaiarti sul collo la soluzione. A suo dire semplice ed efficace, sempre la stessa, che c’entrasse qualcosa oppure no: creare un nuovo demone e metterlo in linea.
Fu così che in ufficio qualcuno dei più giovani prese a chiamarlo Demone Biondo. In breve, qualcun altro trovò la definizione quanto mai appropriata per un sì sgradevole personaggio, il soprannome piacque e si diffuse rapido e silenzioso in ogni angolo dello stabilimento.

Il Demone Biondo, peraltro, apprezzando apertamente la mia capacità di relazionarmi con i clienti, mi mandava spesso e volentieri in trasferta presso i medesimi, sparsi in tutta la regione. Conobbi luoghi sperduti di cui ignoravo l’esistenza, per raggiungere i quali mi toccava guidare per varie ore al giorno. Conobbi, anche, nuove barriere, stavolta fisiche e concrete, come la barriera autostradale della Falchera, che mi trovavo ad attraversare molto più spesso di quanto non avrei voluto. O la Barriera di Milano, che a dispetto del nome è un quartiere di Torino. Barriere, barriere ovunque, oltre le quali si aprivano lande tristi e desolate; ma non è che al di qua di esse il panorama si presentasse più confortante.
Si può supporre che tutto ciò mi diede l’opportunità di allargare i miei orizzonti, se non fosse che quegli orizzonti si aprivano su cittadine e contesti geografici privi, per la maggior parte, di qualunque attrattiva.

Tuttavia, una più vasta e migliore conoscenza di luoghi, strade e autostrade, nonostante per la maggior parte privi di qualunque attrattiva, in fondo l’opportunità di allargare i miei orizzonti contribuirono a darmela, sì.
Facendomi venire una voglia irresistibile di sfruttare quella conoscenza per i miei momenti di evasione o, in definitiva, di trovarmi altrove, lontano da lì.
In prima battuta mi riavvicinai a uno stadio, per rivedere la Roma dal vivo dopo quell’unica volta di alcuni anni prima.

(segue)


CREDITS, NOMI E RIFERIMENTI:

Barriera di Milano, quartiere di Torino il cui nome compare su diversi cartelli autostradali.

Alberto Castagna, celebre giornalista e conduttore televisivo, scomparso troppo presto.

Professor Dairi, immancabile personaggio buffo di un anime robotico, in questo caso il mitico Jeeg.

Demoni, che a dispetto del nome sono molto utili e non disturbano affatto.

Il Demone Biondo, qualcosa mi dice che prima o poi ritornerà. Nei miei racconti, intendo, che nella vita di tutti giorni abbiamo già dato. Ampiamente.

La Falchera, quartiere di Torino che dà il nome a un casello autostradale.

Roma (associazione sportiva), daje sempre.

Thanos di Titano, villain delle saghe cosmiche della Marvel, in una storia di demoni ci sta come il cacio sui maccheroni. Altrimenti noto come “L’Inevitable”. Thanos, dico, non il cacio.