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(Riassunto delle puntate precedenti: dagli ingorghi sulla tangenziale di Torino alla vigilia di un memorabile viaggio in treno, il primo di molti).

La decisione di quel viaggio costituiva una novità assoluta. Non avevo mai trascorso una notte fuori casa da solo, figuriamoci due.
Prima di allora c’era stata un’unica gita scolastica in terza media durata due giorni, una settimana di campo estivo in una struttura salesiana per due estati consecutive e poi, naturalmente, l’anno di servizio militare. Tutti contesti in cui mi ero ritrovato in un gruppo più o meno ampio di miei coetanei, sotto la supervisione di adulti o superiori di qualche tipo. Da solo, mai.

Eppure, che cosa ci sarebbe stato di tanto strano, in fondo, in quell’inizio di gennaio del 1994? A parte il fatto che per me si trattava della prima volta, nulla. Mi era venuta voglia di fare una cosa per conto mio e mi accingevo a farla.
Ne avevo i mezzi, il movente e l’opportunità e Anna, senza volerlo, mi aveva fatto scattare una scintilla di consapevolezza sufficiente perché me ne rendessi conto. È stupefacente la sorpresa e il senso di conquista che si provano nel momento in cui realizzi di poter fare ciò che fin lì hai solo sempre sognato: giusto il tempo di organizzare e in due balletti sei pronto, si va.

Dunque, il sabato mattina seguente mi recai in stazione (non a Bra ma a Cavallermaggiore, più comoda come linea e orari, una cosa che da allora non è mai cambiata), acquistai i biglietti – e, poiché mi segno ogni centesimo in ingresso e in uscita fin dal luglio del ’91, so con precisione che il tutto mi costò 127mila lire; devo ancora avere quel biglietto da qualche parte – e salii sul treno regionale con cui avrei raggiunto Torino; una volta a Porta Nuova mi accomodai sull’intercity diretto a sud che mi avrebbe portato, finalmente, a Roma.

“Mi accomodai” è una parola grossa, perché appena a bordo mi resi subito conto di aver commesso un errore da principiante: non aver prenotato un posto a sedere. In quei vagoni a scompartimento ormai datati, simili a quello su cui, molti anni prima, avevo compiuto la mia prima sortita oltre la Barriera, c’era quasi più gente in piedi che seduta; ammassata nei corridoi, valige e borse appoggiate sul pavimento o sistemate alla bell’e meglio sulla cappelliera che correva da un capo all’altro della carrozza. I più fortunati erano riusciti a occupare uno dei seggiolini a scomparsa collocati lungo la parete. Io, che non ero fra quelli, rimasi in piedi addossato ai finestrini fino a Grosseto. Vale a dire per la maggior parte del tragitto, che correva lungo la litoranea tirrenica fra Liguria e Toscana e sembrava non dover finire mai.
A un certo punto si liberò un posto e riuscii a sedermi. Non molto tempo dopo, il treno arrivò alle porte di Roma.   

Nel momento in cui avevo iniziato quel viaggio, su cui fantasticavo fin da quando ero appena adolescente, ero stato colto da un misto di esaltazione e timore.
Da un lato, il mio senso di avventura che, una volta tanto, si godeva l’attimo. Dall’altro, la preoccupazione che una città così grande e in fondo sconosciuta, a parte qualche fotografia e una serie di immagini televisive piuttosto standardizzate, mi sarebbe potuta apparire distante, strana, diversa da come me la immaginavo. Temevo che io, giovane turista proveniente dalla piccola provincia piemontese, una volta arrivato al cospetto di una meta tanto ambita e celebre mi sarei potuto sentire spaesato.

Il treno passò per la stazione di San Pietro, rallentando ma senza fermarsi, e d’un tratto mi ritrovai ad ammirare il Cupolone da una distanza così ravvicinata da restare col fiato sospeso. Ora che sono stato da quelle parti diverse altre volte, anche a piedi, ho potuto riapprezzare con calma la vista notevole che si gode in quel punto: sembra di essere al cospetto di un gigante dalla forma perfetta, che si erge sopra i palazzi e le strade, anche quelle sopraelevate.
Il mio primo impatto dal vivo con la Città Eterna fu di meraviglia.

Il tragitto proseguì verso la stazione Ostiense, dove sarei dovuto scendere.
Il treno rallentò di nuovo e mi si aprì alla vista la prospettiva di via Ostiense, che mi mostrò sullo sfondo, perfettamente inquadrata, una piramide bianca. Ignoravo l’esistenza della Piramide Cestia, e vedermela lì, un elemento alieno incastrato in mezzo a una cinta di mura color mattone, a fianco di una porta delimitata da ampi torrioni, mi diede come un senso di incongruenza, un anticipo di delusione. Il secondo impatto fu di straniamento, proprio come temevo.

Sceso dal treno raggiunsi la metro e mi diressi a Termini, poiché il mio albergo si trovava laggiù, nelle vicinanze della stazione più grande e famosa. L’ultimo tratto del mio lungo viaggio fu breve: da Ostiense a Termini ci sono appena sei fermate, impiegai quasi più tempo a risalire in superficie e attraversare l’atrio della grande stazione. Infine, sbucai all’aperto, e questa parte della storia la conosci già. Sotto il cielo di Roma, due giorni dopo la festa dell’epifania cristiana di trent’anni fa, ebbi la mia personale rivelazione: un immediato senso di familiarità, al tempo stesso così naturale e, proprio per questo, così straordinario.
Il terzo impatto fu un’epifania romana, che spazzò via ogni preoccupazione residua.

Mi sentivo a casa.

E mi sentivo libero.

Per tre giorni lo fui davvero. La mia parola in pegno.

Tuo Bill


CREDITS, NOMI E RIFERIMENTI:

Anna, pensandoci bene credo che dovrei ringraziarla.

Cavallermaggiore, piccola stazione di posta fra Mosca e Irkutsk, cioè, volevo dire, fra Cuneo e Torino.

Il Cupolone di San Pietro, il primo impatto visivo fu inaspettato e notevole.

“La mia parola” in pegno è una frase ricorrente ne La Torre Nera di Stephen King.

Piramide Cestia, a testimonianza del fatto che a Roma è possibile vedere proprio di tutto. Il senso di straniamento, o di perplessità, vedendola per la prima volta, è peraltro citato anche nel Capitolo 0 di Fare fuori la medusa di Ivan Baio, romanzo a puntate pubblicato dapprima su WordPress e ora anche in formato cartaceo.

Roma (città metropolitana), non vedrò mai nulla di più grande.

Stazione Ostiense di Roma, snodo logistico fra centro città e Lido di Ostia.

Stazione Porta Nuova di Torino, pur riammodernata e accogliente come mai prima d’ora, la cosa migliore che sa offrire, da trent’anni in qua, rimane sempre la stessa: un qualunque treno per Roma.

Stazione Termini di Roma, porta d’accesso all’infinito e oltre.

Third Impact, evento assai temuto in Neon Genesis Evangelion.