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(Riassunto delle puntate precedenti: tempi duri, pessimismo e fastidio ovunque, voglia di andare via; per fortuna c’era lei col suo sorriso Durbans, solo che ogni tanto, ecco, bah! #mainagioia).

Di aneddoti come quello che ti ho appena raccontato ne ricordo più d’uno, ma devo essere onesto: avevo anch’io i miei momenti what a fuck; anzi, mi portavo dietro un castello di condizionamenti che avrebbero messo a dura prova la pazienza di un santo. In primo luogo, sollecitato fin da piccolo a conoscere tutte le risposte e a non farmi mai trovare impreparato, nutrivo un sacro terrore di qualsiasi eventuale passo falso. Io non potevo commettere errori, non era previsto.

Oltre a ciò, al di fuori di contesti codificati, scuola, lavoro, ecc., non sapevo improvvisare né pensare velocemente. Di fronte a una situazione inaspettata avevo bisogno di ponderare la mossa successiva, immaginando intere conversazioni che non sarebbero mai avvenute e facendomi un sacco di scrupoli.
Nei confronti di Anna, questi ultimi comprendevano la sua giovane età e il timore di approfittare della mia posizione di amico più grande e più saggio (see, avoja, manco fossi stato Obi One con il suo celebre “I have the high ground”).

Immediatezza, spontaneità, naturalezza; non avevo idea di cosa fossero, soffocate da qualche parte, nel profondo, soverchiate del mio risultare impostato fino alla radice dei capelli. Sentivo sempre di dover dimostrare sta ceppa, ero del tutto incapace di lasciarmi andare e assecondare il mio istinto, godermi il momento e riderci sopra nel caso qualcosa fosse andato storto.
Soltanto al quinto anno delle superiori e, più avanti, durante il servizio militare, ero riuscito a rilassarmi un po’, infischiarmene del parere degli “anziani” e assumere un atteggiamento un filo spavaldo. In entrambi i contesti, però, si faceva notare l’assenza di un fondamentale elemento di confronto: non c’erano ragazze.

A tutti gli effetti, mi ritrovavo prigioniero del personaggio che mi ero lasciato costruire attorno e a cui mi ero adeguato. Ero il classico bravo ragazzo, tutto casa, lavoro, scuola e oratorio. Serio (pure troppo), educato, composto, intelligente, studente modello, professionista esemplare. Anche bello, diciamolo. Le mamme mi adoravano, le figlie – non tutte, ma nemmeno poche – pure, però con riserva: avrebbero preferito, da parte mia, un pizzico in più di intraprendenza. Lo so perché mi venne riportato.

Ma che ci vuoi fare, vecchio mio. Nel piccolo mondo in cui vivevo ero giudicato con palese benevolenza per come apparivo e mi comportavo: in parte mi sentivo lusingato e tendevo a uniformarmi alle aspettative, in parte avrei voluto discostarmene ma temevo di suscitare disapprovazione.
La stessa Anna, dal canto suo, mostrava di apprezzarmi anche per il mio distinguermi dalla massa. Dunque, nei suoi confronti non potevo che mostrarmi come da copione, senza – come abbiamo già detto – avere la capacità di adattarlo alla bisogna. Ero molto pirandelliano all’epoca: da una parte indossavo una sorta di maschera, dall’altra mi sentivo un personaggio in cerca d’autore.

(segue)


CREDITS, NOMI E RIFERIMENTI:

Anna, croce e delizia dai ventuno ai ventitrè anni, suppergiù, del nostro eroe.

“Mainagioia” (forma contratta di “mai ‘na gioia”) è un’espressione ricorrente di una parte del tifo romanista di fronte a risultati poco incoraggianti, un modo di sottolineare fatalismo e rassegnazione, tanto da aver dato il nome a una vera e propria corrente di pensiero, il “mainagioismo”. Atteggiamento poco amato dai più e dal quale l’autore, inguaribile ottimista, ha sempre voluto discostarsi, all’insegna del motto “chi tifa Roma non perde mai”.

Il concetto di maschera e l’opera teatrale Sei personaggi in cerca d’autore sono due capisaldi di Luigi Pirandello, che l’autore apprezza in modo particolare e dal quale trae vari insegnamenti e citazioni.

Obi One Kenobi, cavaliere Jedi e generale, celeberrimo personaggio della saga di Star Wars interpretato da sir Alec Guinness nella trilogia classica (episodi IV-VI) e da Ewan McGregor negli episodi I-III. La ben nota esclamazione “I have the high ground” viene pronunciata proprio da Obi Wan/Mc Gregor nel terzo episodio: è così si rivolge ad Anakin Skywalker (Hayden Christensen), ormai preda del Lato Oscuro, nelle battute finali di un duello che vede contrapposti l’ex allievo al suo vecchio maestro e mentore, allo scopo di indurre il più giovane a desistere da un assalto che lo vede in posizione di svantaggio. Un avvertimento che non verrà ascoltato. Il resto è pathos e tragedia epica.

Sorriso Durbans, definizione resa famosa dalla pubblicità di una marca di dentifricio negli anni ’60.