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Diego Armando Maradona e Antonio Cabrini, capitani di Napoli e Juventus, in mezzo a Claudio Garella (a sinistra), Michael Laudrup, Stefano Tacconi e Massimo Bonini (a destra), Torino, 17 aprile 1988 (foto tratta da qui)

(Riassunto delle puntate precedenti: un cuneese a Torino, di stadio in stadio e di partita in partita).

Circa un anno dopo, di nuovo in aprile, con gli stessi amici e con il pullman dei gobbi braidesi, tornai in quello stadio per assistere a un Juventus-Napoli, con la segreta speranza di vedere i campioni d’Italia in carica rifilare una sonora lezione ai soliti parvenu con la maglia a strisce pedonali.

Platini aveva smesso, in compenso nel Napoli giocava Maradona.
Nel giro di un anno sono passato da non essere mai andato allo stadio ad aver visto giocare dal vivo, anche se per una sola volta ciascuno e con troppa poca esperienza live da poterne conservare ricordi limpidi, uno dei due più grandi calciatori di tutti i tempi (l’altro è O Rey, of course) e quello che più credeva di esserlo. Battute a parte, il valore di Platini era indiscutibile, la sua era classe di altissimo livello. Quasi quanto la sua boria transalpina, ah ha!

Andai alla partita sperando di veder vincere il Napoli, dicevo, invece la Juve si impose nettamente.
A testimonianza di quanto quel giorno gli astri fossero avversi ai miei desideri, segnò Cabrini, cosa non proprio frequentissima, e perfino Rush, il che meravigliò anche parecchi dei suoi tifosi. Dopo il 3-0 di De Agostini i miei amici decisero di avviarsi all’uscita, pratica che non ho mai compreso e che ancora oggi non comprendo. Come se, uscendo dieci minuti prima del fischio finale, ci si possa aspettare di trovare meno traffico per tornare a casa. Magari sì, ma quanto potrà mai incidere? Ne vale la pena? Voglio dire: ti sei sbattuto a comprare il biglietto, organizzare con la famiglia o con gli amici, fare una certa quantità di strada e impegnare una considerevole porzione della giornata per assistere a uno spettacolo a cui tieni, e poi te ne vai prima che sia finito? Faresti la stessa cosa al cinema o durante un concerto? Mah!
Tanto più, poi, che se sei venuto con un pullman di tifosi, quello, prima di ripartire, aspetterà che siano risaliti tutti. A maggior ragione, cosa te ne esci prima a fare? Misteri della fede.

Quel giorno apprendemmo dunque del goal di Careca, che fissò il punteggio sul 3-1 finale, solo una volta fuori dallo stadio. La cosa ci deluse, al di là del fatto di esserci persi la visione di un goal, perché ci tolse una piccola vittoria che già stavamo accarezzando.
Spiego. Immagino che una cosa del genere capiti in chissà quali e quanti viaggi di gruppi di tifosi, fatto sta che sul pullman dello Juventus Club di Bra, da tempo immemorabile, si usa scommettere sul risultato durante l’avvicinamento allo stadio. Puntate simboliche, tipo mille lire a pronostico, con possibilità di sceglierne più di uno e dunque aumentare le probabilità di vincita. Noi avevamo scommesso su un paio di risultati di misura a favore della Juve e avevamo buttato lì anche un 3-0. Per qualche minuto mi illusi, ci illudemmo tutti speranzosi; e poi finì che, dopo Cabrini e Rush, anche Careca giunse a ribadire che quel giorno gli astri mi erano proprio sfavorevoli.

(segue)


CREDITS, NOMI E RIFERIMENTI:

Diego | La seconda squadra di Torino | Le Roi

e poi

Massimo Bonini, mastino di centrocampo.

Bra, comune della provincia di Cuneo, residenza del qui presente.

Antonio Cabrini, celeberrimo terzino di bella presenza.

Antonio Careca, attaccante brasiliano, un brutto cliente per qualsiasi difesa.

Luigi De Agostini, valente co-protagonista.

Claudio Garella, portiere atipico capace di vincere due volte il campionato (nel giro di sole tre stagioni) con due squadre diverse che in precedenza non ne avevano mai vinto uno. Portafortuna.

Juventus-Napoli del 17 aprile 1988. Altro servizio di Carlo Nesti, altro prolungato cameo di Gianni Agnelli in tribuna (per fortuna uno solo, stavolta). Un marchio di fabbrica.

Michael Laudrup, danese di gran classe, centrocampista offensivo o attaccante, non si è mai capito bene; quel che è certo è che avesse dimestichezza con il goal.

O Rey, ovvero Edson Arantes do Nascimento o, più semplicemente, Pelè.

Ian Rush, leggendario centravanti gallese che, dalle nostre parti, non si ambientò. Ce ne siamo fatti una ragione.

Stefano Tacconi, portiere di lungo corso a cui era bello veder segnare.

Un diez de cuero blanco (ovvero: un dieci di cuoio bianco, il numero cucito sulla maglia) è il titolo di una puntata di “Federico Buffa racconta” dedicata a Diego Armando Maradona ed è disponibile sull’on-demand di Sky Italia.