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(Riassunto della puntata precedente: Bill riprende a raccontare di come la vita della famigliola divenne altra cosa da ciò che era sempre stata. O quasi, sempre).
I miei progetti lavorativi vennero accantonati in attesa di tempi migliori (campa cavallo), i miei rapporti con Francesca, ormai quasi più soltanto epistolari o telefonici, di fatto sfumarono come neve al sole.
Con Lisa, durante il primo mese di ricovero della “nonna”, si era verificato un equivoco che portò a un litigio, seguito da un chiarimento che non chiarì nulla, se non il fatto che, quella volta, non sarebbe stato possibile riconciliare le reciproche posizioni. Cosa che avrebbe richiesto di cedere l’un l’altro un po’ di terreno e trovare un punto di incontro, da qualche parte nel mezzo; ma nessuno dei due cedette, ci restammo entrambi male e io ne soffrii davvero molto, una solida e bella amicizia più che decennale messa a repentaglio da uno stupido litigio. Non il nostro primo confronto acceso, ma quello fu l’ultimo per molto tempo: non ci vedemmo per quasi due anni, anche e soprattutto a causa della mia contingenza di auto-carcerazione familiare.
Per diversi mesi non mi sentii nemmeno di uscire a fare due passi con Sara, il che la dice lunga sul mio stato di prostrazione psicofisica di quel periodo.
Mi spezzai di nuovo, che te lo dico a fare. I miei darklings furono sorpresi e molto contenti di rivedermi così presto e mi tennero con sé più a lungo che mai. I diciotto mesi più oscuri della mia vita, in cui ogni giorno sorgeva e tramontava uguale al precedente e al successivo, senza quasi cognizione del mondo che andava avanti, né desiderio di saperne qualcosa.
Ma col tempo mi abituai, che a mia madre volevo bene, si capisce.
Primo Levi ci ha insegnato che siamo capaci di abituarci alle peggio cose e, anche se io stavo di nuovo soltanto al 20/25% di me stesso, contribuire al 50% a occuparmi di lei ogni giorno per più di cinque anni mi diede una motivazione, e diede anche un senso a quel sacrificio inutile e al tempo stesso necessario.
Necessario, perché mia madre di me aveva bisogno e, anzi, se riuscì a sopravvivere quasi il doppio rispetto alle previsioni dei medici fu, senza ombra di dubbio, anche perché aveva me al suo fianco; io che sono stato la sua principale ragione di vita da che sono venuto al mondo.
Inutile di certo non proprio, ma sproporzionato sì e pure tanto; perché, se mi fossi trovato ad abitare più lontano o avessi almeno, in quel momento, avuto un lavoro, avrei risposto fin da subito al “nonno” testone: uè balengo, cerca di ragionare che qui la situazione è seria; adesso ci prendiamo una persona che ci dia una mano, magari due, le cerchiamo come si deve, le paghiamo il giusto che in rovina non andiamo di sicuro; così mamma è accudita e serena, te sei tranquillo, cerchiamo di assicurare a lei e a noi una vita il più possibile normale, io vengo a stare qualche ora con lei tutte le volte che posso – anche tutti i giorni se serve – e andiamo avanti.
Invece, come dicevo, fu come se avessi preso il Nero, e per oltre cinque anni la mia vita fu quella, compreso il fatto “niente donne” (o quasi). Figuriamoci progetti lavorativi e vita sociale, cose che, a sentirle nominare, quasi ridevo per non piangere.
Per fortuna, anche se appena debolmente, le mie capacità di rigenerazione riflettono in qualche misura quelle del mio dio canadese, e dopo i primi due anni dal 20/25% risalii al 70/80 e, pur restando la maggior parte del tempo confinato nella nostra versione familiare di Castello Nero, ricominciai di tanto in tanto a riveder le stelle: qualche mostra a Milano (fra cui una di Tintoretto, memorabile) e poi, soprattutto, Roma; appena tre volte in tre anni e per uno massimo due giorni ciascuna, ma tutte molto significative.
Vidi Florenzi segnare al Genoa e andare ad abbracciare Rudi Garcia in panchina, e di lì a mezzora l’esordio con goal di Sadiq. Vidi un Roma-Real Madrid di Champions dietro la panchina di Eusebio ed ebbi, prima nel mezzo e dopo, occasione di scambiare strette di mano e qualche parola con Raúl e con svariati dei nostri ex, fra cui Pluto, er Principe e Balzaretti; e Damiano, che ancora si ricordava di quella volta in cui venne a Bra (e io c’ero, of course), ed è una storia, questa, che prima o poi ti racconterò.
Ebbi modo di partecipare a quell’evento, in particolare, in cui – prima della partita – il nostro Checco venne accolto di diritto nella Hall of Fame romanista, grazie al mio buon vecchio amico Donovan; che, alcuni giorni prima della partita, ricevette dalla propria azienda, come bonus, un biglietto gratuito per un settore dello stadio davvero esclusivo, con tanto di ampia hospitality area alle spalle, mica il baretto der porchettaro. Lui non sarebbe potuto andare e pensò subito di regalarlo a me, quel prezioso biglietto. Vedi a che servono alle volte i cari vecchi amici di scuola, oltre a tutte le altre occasioni nelle quali, il buon Donovan, ha avuto modo di offrirmi il proprio sostegno, magari accompagnato da un consiglio informato e autorevole. Avercene.
(segue)
CREDITS, NOMI E RIFERIMENTI:
Checco Damiano Darklings Donovan Er Principe Eusebio Federico Balzaretti Il mio dio canadese Pluto Roma (associazione sportiva, daje sempre) Roma (città metropolitana) Rudi Garcia Sara
e poi
Le immagini qui sopra sono fotografie personali relative all’occasione di gala citata nel testo (Roma, Stadio Olimpico, 27 novembre 2018).
A.S.Roma Hall of Fame, solo li mejo, ahò.
Castello Nero è una location de Il Trono di Spade, opera in cui compare l’espressione prendere il Nero.
Champions League, salotto buono del calcio europeo.
Alessandro Florenzi, ex giocatore della Roma, cocco di nonna sua.
Genoa CFC, club più antico d’Italia. Ci incrociamo spesso, messeri.
Primo Levi, chimico e scrittore torinese, eccelse in entrambi i campi. Specie nel secondo, per il quale lo ricordiamo e rimpiangiamo ancora oggi.
Raúl Gonzáles Blanco, che magico duo d’attacco avrebbe potuto formare insieme a Checco! Ma è meglio averlo solo immaginato, in fondo.
Real Madrid, non credo occorra aggiungere altro.
Roma-Genoa del 21 dicembre 2015, la prima vittoria dopo diverse partite storte.
Umar Sadiq, calciatore giramondo, ancora giovane nonostante ci paia che giochi da una vita.
Tintoretto, al secolo Jacopo Robusti, straordinario pittore dal carattere fumantino. Per fare più in fretta, stendeva un fondo di colore scuro sulla tela e poi dipingeva solo le parti illuminate e in colori chiari, precorrendo di secoli tecniche moderne più consapevoli ma non altrettanto straordinariamente efficaci.
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Scusa ma è un raccontoauto biografico questo o di fantasia?
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A parte il fatto che lo racconto nelle vesti di personaggio e in alcuni passaggi utilizzo delle metafore, è tutta vita vissuta. O non vissuta, per lunghi tratti, in fondo. Diciamo che si tratta di un’elaborazione che – oltre al piacere dello sviluppo narrativo – può avere lo scopo di fare pace con certi aspetti e momenti complicati di me e del mio passato. Nello specifico, per quanto riguarda quella particolare serata allo stadio Olimpico e l’incontro con tutti quei VIP, è tutto vero e ho pure le foto. Ne trovi alcune sulle mie schede esplicative qui 😉
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